La meditazione – pratica che mi interessa molto
Ho partecipato da pochi giorni a un incontro sulla meditazione “Zen” e “Sumarah” due delle tante tecniche che oggi si conoscono e ritengo che la lettura dei seguenti appunti sulla meditazione possa essere utile sia ai principianti che ai più esperti e, naturalmente, stimolare qualche utile riflessione.
La pratica della meditazione non è quel che comunemente si intende per pratica, nel senso di ripetizione intesa a preparare a una qualche prova futura.
La meditazione sotto forma di yoga, dhyana o za-zen, come è in uso presso gli induisti e i buddhisti è una pratica priva di scopo nel futuro immediato o lontano: essa è l’arte dell’essere completamente centrati nel qui e ora.
“Io non sono addormentato e non c’è nessun posto in cui voglia andare”.
Viviamo in una cultura totalmente stregata dall’illusione del tempo, in cui il cosiddetto momento presente è sentito come qualcosa di infinitesimale fra un passato potentemente condizionante e un futuro la cui importanza è assoluta.
Non abbiamo un presente.
La nostra coscienza è quasi totalmente occupata dal ricordo e dall’aspettativa.
Non ci rendiamo conto che non c’è mai stata, non c è e non ci sarà mai
altra esperienza che quella del presente.
Siamo privi di contatto con la realtà.
Confondiamo il mondo di cui si parla, che si rappresenta e si misura col mondo qual è in realtà.
La meditazione è l’arte di sospendere temporaneamente il pensiero verbale e simbolico, un po’ come un pubblico beneducato interrompe le conversazioni quando sta per iniziare un concerto.
Meditare:
basta limitarsi a stare seduti, chiudere gli occhi e ascoltare tutti i suoni che possono essere nell’aria, senza provare a identificarli o a definirli.
Ascoltare come si ascolta la musica.
Se ci si accorge che il dialogo mentale continua, non cercare di interromperlo con la volontà.
Limitarsi a lasciare la lingua rilassata, abbandonata e comoda nella mascella inferiore, e ascoltare i nostri pensieri come si ascoltano gli uccelli che cinguettano fuori dalla finestra, puro rumore nella nostra testa: i pensieri alla fine si placheranno da soli, come uno stagno agitato e fangoso si calma e torna limpido se non lo si disturba.
Poi ancora, prendere coscienza del nostro respiro e lasciare che i polmoni funzionino al ritmo loro congeniale, e per un po’ restare semplicemente ad ascoltare e sentire il respiro.
Si può obiettare che questa non è meditazione ’spirituale’ ma semplice attenzione al mondo fisico: si dovrebbe però comprendere che spirituale e fisico sono soltanto idee, concetti filosofici, e che la realtà di cui ora si prende coscienza non è un’idea.
Poi si comincia a lasciar ‘cadere’ il nostro respiro all’esterno, lentamente e comodamente. Senza sforzare né tendere i polmoni, ma lasciare che il respiro esca allo stesso modo di quando ci si abbandona in un letto accogliente.
Lasciarlo semplicemente andare, andare, e andare.
Non appena c’è un minimo sforzo, farlo semplicemente rientrare come un riflesso, senza pressioni o strappi.
Importante: non pensare all’orologio.
Mantenere semplicemente questo stato tanto a lungo quanto dura il senso di beatitudine che dà.